Rapporto 2016 AlmaLaurea : Donne ingegnere, laureate e mamme, il mercato del lavoro le penalizza

I dati del Rapporto 2016 AlmaLaurea confermano che le donne ingegnere laureate e con figli, sebbene all’Università abbiamo brillanti performance formative, sul mercato del lavoro hanno minori chance occupazionali rispetto ai maschi, papà o meno, ma anche alle loro colleghe senza figli Bologna

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La lettura dei dati del XVIII Rapporto 2016 AlmaLaurea sul Profilo e Condizione occupazionale dei laureati italiani conferma che le donne ingegnere laureate sono più penalizzate sul lavoro se hanno figli. Il forte divario in termini occupazionali, contrattuali e retributivi tra maschi e femmine, infatti, aumenta a parità di condizioni in presenza di figli. Mentre sono le donne ad avere performance universitarie più brillanti rispetto ai loro colleghi uomini, sia in termini di regolarità negli studi che di voti, in ogni percorso di studi.

In base ai due Rapporti emerge che tra i laureati del 2015 è nettamente più elevata la presenza della componente femminile, il 60%. La quota delle donne che si laureano in corso è il 48% contro il 44% degli uomini (la media nazionale è 47%) e il voto medio di laurea è pari a 103,2 su 110 per le prime e a 101,1 per i secondi (è 102,3 per la media nazionale).

Il differenziale occupazionale, a un anno dalla laurea, raggiunge quasi 15 punti percentuali tra quanti hanno figli (il tasso di occupazione, considerando solo quanti non lavoravano alla laurea, è pari al 41,5% tra gli uomini, contro il 27% delle laureate), mentre scende di circa 10 punti percentuali, sempre a favore degli uomini, tra quanti non hanno prole (tasso di occupazione pari al 50,5% contro il 41%, rispettivamente).

Il Rapporto 2016 AlmaLaurea mostra come a cinque anni dalla laurea, si conferma il differenziale: 28 punti percentuali tra quanti hanno figli (il tasso di occupazione è pari all’85% tra gli uomini, contro il 57% delle laureate), mentre scende fino a 9 punti, sempre a favore degli uomini, tra quanti non hanno prole (tasso di occupazione pari al 81% contro il 72%, rispettivamente). Anche nel confronto tra le donne ingegnere laureate, chi ha figli risulta penalizzata: a un anno dal titolo lavora il 41% delle donne laureate senza prole e il 27% di quelle con figli (un differenziale di 14 punti percentuali). A cinque anni il divario permane (15 punti percentuali): lavora il 72% delle laureate senza prole e il 57% di quelle con figli. Si evidenziano differenze di genere significative anche rispetto al tipo di contratto e alla retribuzione. A un lustro dal titolo invece il lavoro stabile è una prerogativa tutta maschile: può contare su un posto sicuro, infatti, il 78% degli occupati e il 67% delle occupate. In particolare, ha un contratto a tempo indeterminato il 48% delle donne rispetto al 58% degli uomini. È naturale che queste differenze siano legate anche alle diverse scelte professionali maturate da uomini e donne; le seconde, infatti, tendono più frequentemente ad inserirsi nel pubblico impiego e nel mondo dell’insegnamento, notoriamente in difficoltà nel garantire, almeno nel breve periodo, una rapida stabilizzazione contrattuale.

Le differenze di genere si confermano anche dal punto di vista retributivo. Tra i laureati magistrali che a cinque anni, hanno iniziato l’attuale attività dopo la laurea e lavorano a tempo pieno, emerge che il differenziale è pari al 20% a favore dei maschi: 1.624 euro contro 1.354 euro delle colleghe. Inoltre, tra i laureati con figli il differenziale sale al 32%, sempre a favore degli uomini; è pari al 19% tra quanti non hanno figli. Se è vero che questo risultato è influenzato dalle diverse scelte professionali compiute da uomini e donne è altrettanto vero che, a parità di ogni altra condizione, gli uomini guadagnano in media 168 euro netti mensili più delle donne.

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