M’illumino troppo. L’Italia spende troppo in illuminazione pubblica, come rivale lo studio dell’Osservatorio dei Conti Pubblici

Lo studio dell’Osservatorio sui conti pubblici italiani: Italia spende troppo in illuminazione pubblica,1,7 miliardi di euro, pari a 28,7 euro pro capite rispetto a una media di 16,8 euro dei principali paesi europei

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In Italia il consumo di energia elettrica pro capite per l’illuminazione pubblica nel 2017 è stato il doppio di quello della media europea. La spesa complessiva per illuminazione pubblica è di 1,7 miliardi di euro, pari a 28,7 euro pro capite rispetto a una media di 16,8 euro dei principali paesi europei. Alcune misure di efficientamento potrebbero generare un risparmio notevole senza creare disagi alla collettività, realizzando un importante contenimento della spesa e una forte riduzione dell’inquinamento luminoso.

A rivelarlo è lo studio “Illuminazione pubblica: spendiamo troppo”, realizzato dall’Osservatorio sui conti pubblici italiani dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, task force guidata dall’ex commissario alla spending review Carlo Cottarelli, autore del report insieme a Diego Bonata, Fabio Falchi, Riccardo Furgoni e Carlo Valdes.

Il consumo di energia elettrica per illuminazione pubblica in Italia nel 2017 è stato approssimativamente di 6.000 GWh, con un consumo pro capite di 100 kWh, pari al doppio della media europea di 51 kWh. Il consumo italiano è rimasto sostanzialmente stabile nell’ultimo decennio (nel 2007 il consumo era pari a circa 6.000 GWh) e la spesa italiana per illuminazione pubblica nel 2017 è stata pari a 1,7 miliardi di euro.[3] Nel 2016 la spesa pro capite in Italia è stata di 28,7 euro, molto più alta della media dei principali paesi europei (16,8 euro), di Francia (20,3 euro), Regno Unito (14,2 euro) e Germania (5,8 euro). Un’idea chiara delle differenze di consumo tra l’Italia e il resto d’Europa si può avere anche dalle immagini di “The new world atlas of artificial night sky brightness” e della NASA del 2016, che mostrano la luminosità notturna del cielo d’Europa.

Quanto si potrebbe risparmiare. Il risparmio potenziale stimato nelle Proposte per una Revisione della Spesa Pubblica di marzo 2014 era di circa 300 milioni nel giro di tre anni. Le misure previste erano distinte tra misure di breve e di medio periodo. Le prime avrebbero consentito di generare risparmi a costo zero. Si trattava principalmente dello spegnimento di:

  • impianti di illuminazione pubblica extraurbana;

  • punti luce di aree artigianali e industriali.

  • Attualmente nessuna di queste misure è stata adottata, forse per la diffusa convinzione di una relazione tra luminosità e sicurezza. In proposito, occorre notare che:

  • le possibili aree di spegnimento non riguarderebbero aree urbane in cui circolano le persone;

  • la convinzione che esista una relazione positiva tra sicurezza e luminosità è priva di fondamento scientifico: studi recenti hanno mostrato che non esiste alcuna correlazione statistica né tra maggiore illuminazione e sicurezza stradale, né tra presenza dell’illuminazione pubblica e eventi criminosi.

Le misure di medio periodo, invece, consistevano nella sostituzione di impianti di illuminazione inefficienti e nel passaggio a illuminazione a LED. In effetti, il passaggio a LED sta avvenendo in molti comuni, ma presenta importanti criticità legate ai criteri ambientali adottati. Altri possibili interventi di medio periodo non specificati nel 2014 comprendono:

  • installazione di orologi astronomici o sensori di movimento;

  • regolazione della luminosità di alcuni impianti;

  • passaggio integrale a LED per gallerie e illuminazione semaforica;

  • adeguamento dei servizi di manutenzione ai costi di mercato;

  • impiego intensivo di sensori di movimento o di illuminazione adattiva.

  • Attraverso queste misure si stima che i consumi pro capite italiani potrebbero essere ridotti nel medio-lungo periodo del 50 per cento (arrivando, cioè, alla media europea di 51 kWh), generando risparmi notevoli. Ciò è dimostrato dall’esperienza della Germania, che tra il 2007 e il 2016 ha ridotto la spesa pro capite del 53 per cento. Casi specifici di applicazione delle misure sopra citate in alcuni comuni italiani (Cittadella, Carugate, Pessano con Bornago, Rapallo, Bollate e Rottofreno) indicano che i risparmi ottenibili potrebbero essere anche più significativi, con riduzioni di consumo tra il 60 e l’80 per cento.

Gli investimenti necessari e la normativa vigente. Le misure descritte richiedono investimenti. Un gruppo di lavoro sull’illuminazione pubblica coordinato dal MISE nel 2014 aveva proposto una soluzione ancora attuale: gli investimenti necessari potrebbero essere realizzati grazie a delle linee di credito concesse dalla Cassa Depositi e Prestiti ai comuni.

Come già accennato, a giustificazione di questi investimenti sussistono due ragioni principali:

  • i risparmi di medio/lungo periodo ottenibili con l’ammodernamento degli impianti esistenti possono essere molto elevati;

  • si porrebbe argine ai danni causati dall’inquinamento luminoso. Un numero crescente di ricerche scientifiche associa alcune conseguenze dell’eccessiva esposizione alla luce artificiale notturna (come la riduzione di melatonina nel sangue) ad alcuni tipi di cancro. Oltretutto, la luce artificiale notturna provoca danni sugli ecosistemi causando perdita di biodiversità. Limitare questi danni ambientali e alla salute porterebbe, tra l’altro, risparmi nei costi sostenuti per porre rimedio agli effetti dell’inquinamento luminoso.

Nonostante le indicazioni del citato gruppo di lavoro non siano state accolte dal legislatore, sono da segnalare alcuni interventi normativi che vanno verso una riduzione dei consumi energetici per illuminazione pubblica: (i) il Decreto 27 settembre 2017 del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare (integrato dal Decreto 28 marzo 2018, “Criteri ambientali minimi per l’affidamento del servizio di illuminazione pubblica”); e (ii) la Legge di Bilancio 2018. Tuttavia, questi interventi presentano importanti criticità.

I decreti hanno avuto il merito di aggiornare i Criteri Ambientali Minimi, cioè i criteri che devono essere rispettati nelle gare d’appalto per l’illuminazione pubblica. Ma presentano diversi limiti.

Il principale è che i decreti mirano principalmente ad assicurare che, nel caso in cui i comuni decidano di ammodernare l’illuminazione pubblica, i criteri per l’assegnazione degli appalti considerino certi standard di risparmio energetico. Questo approccio comporta diversi elementi di criticità:

Non è previsto nessun obbligo per i comuni di convergere verso obiettivi di consumo simili a quelli della media europea. I decreti comportano solo vincoli, peraltro non del tutto stringenti, nel caso in cui i comuni decidano di procedere di loro iniziativa all’ammodernamento degli impianti. I comuni potrebbero anche decidere di ammodernare impianti che non sono utili rispetto ai bisogni effettivi di illuminazione pubblica.

I nuovi criteri favoriscono l’impiego di LED efficienti ma eccessivamente inquinanti rispetto alle tecnologie disponibili sul mercato. Il problema è però di natura economica oltre che ambientale. Infatti, l’installazione di questo tipo di impianti potrebbe costringere in futuro i comuni a dover effettuare nuovi costosi interventi di ammodernamento a tutela della salute pubblica.

La Legge di Bilancio 2018, invece, ha definito ambiziosi obiettivi di risparmio da perseguire mediante riduzione dei consumi destinati all’illuminazione pubblica. Ma né in legge di Bilancio, né in successivi interventi normativi, sono definite le modalità di attuazione. Nel testo è prevista la realizzazione “di interventi di efficientamento energetico e di adeguamento alle normative vigenti sugli impianti di illuminazione pubblica” al fine di ridurre la spesa corrente. È una prescrizione del tutto generica. La definizione delle modalità di attuazione è demandata a “uno o più decreti del Presidente del consiglio dei ministri (…) da adottare entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di bilancio”. Attualmente nessun decreto è stato emanato, nonostante i tempi per l’emanazione siano già decorsi.

Al momento non esistono, quindi, norme che possono limitare efficacemente l’elevato consumo di energia elettrica per illuminazione pubblica. Eppure per il legislatore sarebbe una buona occasione: i risparmi potenziali sono considerevoli e una riduzione dei consumi non solo non comporterebbe alcun disagio alla collettività, ma assicurerebbe anche una significativa riduzione dell’inquinamento luminoso

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